Virgilio Murgia era uno di loro. Morì a Cardedu il 22 febbraio 1988 all’età di 82 anni.
Era il terzo figlio, primo maschio, dei coniugi Giovanni Murgia, nato a Gairo il 15 luglio 1880, e Rosa Mascia del 18 settembre 1893. Alle sorelle Vincenzina, Attilia, primogenite, seguirono Amalia e Carmela e ultimo Silvio Antonio Emilio nato l’8 gennaio 1925. Una famiglia numerosa che abitava in una casa per quei tempi abbastanza ampia, ubicata nella via centrale di Gairo Vecchio, come si può rilevare dalla foto che la ritrae così com’era prima della demolizione susseguente all’alluvione del 1951. La situazione economica familiare, rapportata alla società gairese di allora, si poteva considerare mediamente agiata e si basava su vari appezzamenti terrieri, con orti, frutteti e vigne, ubicate sia nelle vicinanze del paese, così pure nel “Sessei” la zona pianeggiante, vicina al mare, a distanza di una ventina di chilometri. A questo proposito, va però rilevato che, non impiegandosi mezzi meccanici per i lavori agricoli, ricorrendo soltanto a manodopera operaia e all’ausilio di cavalli e buoi per l’aratura, si rendeva necessaria una lunga permanenza in quei terreni, in quell’epoca infestati dalla malaria, con grave pericolo per la propria salute. Lo sfruttamento dei terreni era dunque modesto e le colture più praticate, quasi esclusive, erano quella granaria e viticola. Le stesse estensioni delle proprietà erano abbastanza modeste. Infatti, pur essendo l’agro comunale di oltre 11mila ettari, più della metà era costituito da terre civiche. L’Editto delle chiudende del 6 ottobre 1820, che consentiva di recingere i terreni e diventarne padroni, non aveva avuto un grande effetto favorevole sull’equilibrio socio-economico preesistente. Non si è mai conosciuta, e non la si conosce tuttora, la presenza della grande proprietà terriera. “Is meris mannus” non hanno mai posseduto più di una settantina di ettari e soltanto una decina di famiglie si trovava in quella situazione privilegiata. Rispetto a tale quadro la famiglia Murgia poteva considerarsi di media condizione. Il padre Giovanni integrava il bilancio economico legato alla cultura agricola, con l’attività di falegname che svolgeva nel paese, allora di 3000 abitanti, in concorrenza con altri cinque artigiani. Un’attività lavorativa, quindi, che garantiva tranquillità economica e un adeguato ruolo sociale.
La primogenita Vincenzina nacque nel 1909, l’ultimo Emilio nel 1925. Virgilio nacque nel pieno della prima guerra mondiale. Le ripercussioni di quel terribile evento si ebbero anche nei nostri piccoli paesi, per quanto giungessero attutite. Tuttavia, varie famiglie ebbero i loro caduti e dispersi e la partecipazione alla guerra coinvolse tanti giovani gairesi. La stabilità economica complessiva ne risentì significativamente. Ma non era precario solo il quadro economico, in misura analoga ne soffrì quello culturale e scolastico. Oltre il 90% della popolazione gairese era analfabeta. La situazione sanitaria era disastrosa e non soltanto in occasione di epidemie. Era presente un solo medico, lui pure di origine gairese che però, a sentire le testimonianze dei suoi vecchi pazienti, vissuti nei primi 50 anni del secolo scorso, svolgeva la professione con grande difficoltà. Gli insegnanti elementari erano rari e l’insegnamento veniva seguito da pochissimi alunni, non solo perché questi erano impegnati in modeste attività agricole e pastorali, ma anche per la scarsa importanza che si attribuiva alla scolarizzazione. In questo ambito e clima culturale socio-economico, l’alunno Virgilio Murgia frequentò a Gairo le Scuole Elementari. Dimostrò fin da ragazzo le qualità che lo avrebbero accompagnato e distinto nel corso degli studi successivi e della professione: memoria mirandoliana, curiosità per le nuove conoscenze, applicazione continua. Le condizioni economiche familiari, di cui si è appena accennato, unite al periodo difficile, non consentirono ai genitori di provvedere al sostentamento della numerosa famiglia e contemporaneamente affrontare le notevoli spese per la frequenza nelle scuole superiori di Virgilio. Pertanto, così come avvenne per tanti gairesi nel periodo successivo, gli fecero frequentare le scuole religiose che avevano la finalità di approdo al sacerdozio: il Ginnasio ed il Liceo Classico. Gli venne impartita, pertanto, un’educazione scolastica fondata e strutturata sui valori del cattolicesimo. Di quest’abito spirituale vestirà i panni per tutta la vita. Era talmente convinto della sua missione religiosa che manifestò ai propri genitori la volontà, insieme al collega e amico Cesare Maxia, di voler diventare missionario comboniano in Africa. I genitori di entrambi i ragazzi non gradirono che i loro sacrifici si sarebbero estinti in terra africana e li ritirarono dal seminario. Porterà comunque a termine la fase liceale e si iscriverà all’ Università in Medicina e conseguirà brillantemente la laurea. Manterrà sempre, anche nella tarda età, un vivace interesse per le discipline storico letterarie, sarà un infaticabile lettore ed appassionato cultore di storia letteratura e poesia. Non resisteva all’impulso di cimentarsi o di offrire vere lezioni di tali materie, quando si trovava in compagnia di giovani studenti. Amava occupare parte del ridottissimo tempo libero, che l`impegnativa professione gli consentiva, impartendo lezioni di latino agli studenti delle scuole medie e liceali. Sorprendeva non solo gli alunni, ma anche esperti insegnanti di Lettere, quando recitava i versi di lunghe poesie dei più noti poeti italiani o ripeteva interi canti della Divina Commedia. Di spirito dinamico, era molto socievole. Sentiva insopprimibile il bisogno di comunicare agli altri le sue esperienze e di farne strumento sociale d’aiuto. La sua attività di medico la dispiegò in tante sedi in Sardegna ed anche nella penisola. Passò un periodo iniziale nel Lazio a Viterbo, quindi esercitò a Gairo, Villaputzu, Lodè, Budoni, Posada, Siniscola. Questi suoi impegni professionali non gli impedirono di partecipare attivamente alla vita politica ed amministrativa. Agli inizi degli anni 50, per un breve periodo, fece il Commissario Prefettizio a Gairo. Non volle mai candidarsi per consigliere comunale. Fu un fervente battagliero democristiano, temuto polemista e ferrato sulla politica regionale e nazionale. Tra i personaggi politici del nostro Risorgimento stimava particolarmente Cavour, ma non tanto e solo perché era stato artefice dell’Unità d’Italia, quanto per la sua formazione politica e culturale ad impronta anglosassone. Ammirava la modernità di quella potenza mondiale nel campo economico e politico, e infatti, secondo il suo giudizio, da quella cultura provennero molte riforme introdotte in Italia. Dott. Virgilio considerava la società inglese la più avanzata nel mondo e quel popolo il più libero ed intraprendente. Finita la seconda guerra mondiale con la sconfitta dei regimi totalitari, si affermò inesorabile l`urgente necessità della decolonizzazione di cui l`Inghilterra, particolarmente, avrebbe dovuto sopportare le conseguenze. Dott. Murgia metteva in risalto il ruolo svolto dagli Inglesi nel diffondere nel mondo coloniale forme di civiltà più avanzate e miglioramenti scientifici, tecnici ed agricoli, che avrebbero garantito sviluppo futuro anche dopo l’indipendenza dei popoli colonizzati. Non provava il sentimento ostile, spesso assai diffuso nella nostra popolazione ancora legata allo spirito fascista, per essere stati sconfitti dagli Inglesi. Si proiettava verso una visione nuova e diversa della politica mondiale, in cui l’Inghilterra avrebbe svolto un grande ruolo di guida verso nuovi approdi di democrazia e di sviluppo. Insomma era un uomo che guardava lucidamente al futuro anche procedendo controcorrente e sapendo difendere con argomentazioni fondate le sue tesi. Per questi ed altri aspetti, a taluni era scomodo, talvolta criticato e persino osteggiato.
A distanza di oltre vent’anni dalla sua morte, il dottor Paolo Murino, nipote, ricorda con rimpianto ed affetto “zio Virgilio” che lo aveva seguito passo passo nel suo itinerario professionale sin dalla sua prima esperienza di medico di base. La sua formazione presso tale attento e scrupoloso insegnante non era stata solo di natura tecnica, ma umana ed operativa. Il paziente, per l’anziano medico, doveva essere seguito prima in sede ambulatoriale, quindi controllato e monitorato in continuazione, fino, in certi casi particolari, a fargli visita durante la degenza ospedaliera. La sua giornata di lavoro, a parte le quotidiane ore dedicate ai suoi molteplici interessi socio-politici e culturali, veniva impegnata nelle visite domiciliari. Piombava a qualunque ora nelle case dei malati e verificava il decorso della malattia e, se necessario, prescriveva terapie più adeguate. Per certi aspetti, era un vero incubo per le padrone di casa, che, pur igienicamente rigorose, temevano di incorrere nei richiami del medico per paura che non venisse trovato tutto lindo ed in perfetto ordine. Era di carattere sincero e diretto e perciò, con spontaneità che rasentava la durezza, non lesinava rimproveri se la sua terapia non veniva seguita con precisione. In situazioni di bisogno, più volte, aveva pagato le medicine di tasca propria. Queste qualità e questi precetti li trasmise al caro nipote e collega, che ha sempre cercato di rispettarli nella sua carriera conclusa recentemente da medico ospedaliero a Lanusei. Dice il nipote Paolo: "C’è un metro infallibile per riscontrare il gradimento e l’affetto dei pazienti e dei familiari nei confronti di noi medici. Se a distanza di tanti anni da quando li abbiamo curati ce li troviamo di fronte e sbadatamente non li salutiamo, essi si precipitano da noi e grati ci abbracciano. Ciò vuol dire che siamo stati sempre nei loro ricordi affettuosi.". “La soddisfazione maggiore per il buon medico”conclude il dott. Paolo ”non è misurata da quanto utile economico si ricava dalla professione, ma molto di più da quanta stima e affetto la gente conserva per noi nella propria memoria".
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